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Il Diavolo e la Principessa

Di Raffaello Barbalonga

Era l’estate del 1984 e mi restava ancora negli occhi la tragedia del 5° set dell’Open di Francia, quando a bordo di una Talbot Matra Murena scoprivo per la prima volta le bellezze della Costa Azzurra. Mio padre, un eccentrico pittore paesaggista, aveva un mercante a Mentone che lo invitava spesso a dipingere alcune vedute della città. Io lo avevo seguito e nello striminzito bagagliaio del coupè, ovviamente, trovava spazio anche la mia ultima racchetta. Il mercante di mio padre era anche un accanito tennista e non ci avevamo messo molto a ingaggiare un match. Arrivati al Tennis Club Menton la mia frenesia era incontrollabile. Estraendo dal fodero rivestito di velluto rosso la mia splendida Max 200g, il mio sorriso si trasformò ben presto in sgomento alla visione dell’arma che stava brandendo il mio avversario. Il sontuoso fodero di “pelle umana” aveva impresso il logo dell’olimpo tennistico, ma non avevo mai visto quella custodia: ero abituato a vederla scamosciata! Quella della Regina nera e verde, la mitica Prince “Graphite”, che solo i più abbienti e attempati commercialisti del mio club esibivano immeritevolmente spavaldi. Ebbene, l’esemplare che stava per essere estratto era un UFO. Il colore aureo dai riflessi ramati rivelava un oggetto sicuramente prezioso, ma quei tre ponti che cos’erano? Un concentrato forse di rigidità e “Bollettierismo”? La mia frustrazione mi condusse ad una promessa: “un giorno, non so quando, io avrò quella racchetta!”. Oggi, da soddisfatto possessore di diversi esemplari di questo prestigioso modello, posso finalmente analizzarne le caratteristiche.

Prince Boron

La “Boron” è stata per anni il top di gamma di Prince, con un prezzo di listino superiore a 1.200.000 lire, quando lo stipendio nostrano era all’epoca di 608.000 lire. Il Boron – la precisazione è doverosa – è un materiale composito usato in passato per irrigidire alcuni punti dei telai. Formato da particelle di Boro che per pirolisi cristallizzano su filamenti di tungsteno, non viene più impiegato per l’eccessivo costo di produzione. La racchetta in questione però non mostra una eccessiva rigidità. Anzi, la sorella minore, la già citata “Graphite”, sviluppa un RA di 61/62 punti, mentre questa è ferma a 59. In realtà esistono diverse versioni. La prima serie, grommetless, per esempio, ha una rigidità maggiore, ma quella canonica, usata per intenderci dal “Diavolo” Carlsson, è piuttosto flessibile. Il peso è accettabile anche per un agonista di oggi, 325/335/345g (pesi L, LM, M) senza corde. Lo swingweight ha un valore che varia tra le versioni, da 292 a 305 punti. Ampio è lo sweetspot su di un piatto di 107 Sq. inch ed eccellente è la stabilità torsionale, regalata dalla larghezza del piattocorde e in parte anche dai tre ponti sul cuore.

Prince Boron

La caratteristica primaria di questo telaio è la grande facilità di presa di rotazione e l’ottima sensibilità, unita ad una spinta ottimale in tutte le posizioni del campo. Sicuramente il tallone d’Achille resta la manovrabilità, dovuta al formato over. Il colpo esce rapido, pesante, il suono pieno. In buona sostanza, la Prince Boron 110 è una racchetta ancora assolutamente performante, che potrebbe regalare all’appassionato fondocampista emozioni impagabili per i telai massificati di oggi, o meglio pagabili al modico costo di circa 300/400€, il prezzo di un esemplare in ottimo stato sul mercato collezionistico attuale.

Carlsson con Prince Boron

Difficile manovrarla, difficile dimenticarla, la “Boron” rappresenta il succo più denso e autentico della cosiddetta “Heritage” del tennis degli anni ’80. 

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